Anche a casa mia c’è il Nord ed il Sud:
la soffitta e lo sgabuzzino…
Scendono patine di silenzio nella vecchia soffitta, da tempo abbandonata, con la volta di vetro puntata come un missile verso il cielo.
Si fermò sull’uscio. I raggi del sole, passando attraverso i vetri, illuminavano un sottilissimo pulviscolo, sospeso nell’aria, che rendeva magica l’atmosfera della stanza con quel dorato baluginio. Evidentemente polvere metallica.
Fece qualche passo avanti, verso il centro della stanza, rompendo qualche ragnatela che le sfiorava il volto. C’è tanta di quella polvere depositata sulle cose che perfino i ragni hanno abbandonato da tempo le loro trappole per moria di insetti.
Riportò lo sguardo sulla volta vetrata. Era una costruzione avanguardista per il periodo in cui fu costruita. Una sfida allo stile architettonico della rigida epoca vittoriana. In realtà l’architetto, nel suo progetto, aveva previsto la tipica soffitta quadrata con le ampie finestre ad arcata, progetto che ricordava molto il Bracketed style, ma il suo bisavolo era un uomo dal carattere estroso ed estroverso che adorava gli spazi ampi e luminosi e così aveva fatto costruire quella cupola di vetro, precedendo di qualche decennio quella molto più grande e famosa del palazzo del Reichstag di Berlino:
-Per guardare il cielo quando pioveva. – Era stata la sua spiegazione.
Sorrise ripensando alle impavide e spregiudicate gesta del giovane bisavolo che la nonna soleva raccontarle. Come ad esempio il ghiribizzo che gli prendeva, ogni tanto, di far lanciare monete d’oro in aria dai suoi servitori per poi divertirsi a colpirli con la sua colt. Di questo i servitori gli erano riconoscenti, che le monete una volta bucate, rimanevano lì, sul prato, abbandonate.
Volse lo sguardo attorno a sé, in un angolo, addossato alla parete, uno scaffale con le ante di vetro molato custodiva i suoi giocattoli. Ricordava ancora il giorno che li aveva portati su , aiutando il padre. Era il periodo delle vacanze, la scuola era finita da poco e lei già si annoiava, lì in quella grande casa, senza compagni con cui giocare. Nemmeno un fratello, nè una sorella. Eppure quanto avrebbe desiderato averne uno o una! Tante volte era stata sul punto di chiedere alla mamma di farle trovare questo regalo sotto l’ albero ma poi si era sempre trattenuta. I bambini a volte comprendono istintivamente quando è il caso di tacere. E, istintivamente, lei sentiva che quello era un argomento che in casa non si poteva toccare. Solo molto più tardi ne comprese la ragione. La mamma aveva avuto un parto non solo doloroso ma molto difficile che ne aveva pregiudicato la possibilità di poter generare altra vita. Si intenerì al pensiero, provando un baratro d’affetto enorme per quella donna, per sua mamma.
Si accostò alla mensola, alcune bambole erano state posate una accanto all’altra, come a tenersi compagnia. Le prime bambole con la faccia ed il corpo in vinile, vestite e pettinate come signorine. Chissà se a sua figlia sarebbero piaciuti i suoi giocattoli…
I suoi giocattoli: ad esempio quel minuscolo servizio da thé in porcellana che il padre le aveva portato di ritorno da uno dei suoi viaggi dalla Cina o il teddy-bear, rigorosamente cucito a mano con gli occhi di vetro ed il naso in pelle nera, che giaceva con le spalle a ridosso ad un libro di favole. Richiuse piano le ante, senza provare emozione alcuna, con lo stesso sentimento con cui si girano le pagine di un libro già letto.
Era andata su per un altro motivo. Tornò a guardarsi attorno, soffermando lo sguardo su ogni oggetto che incrociava i suoi occhi. Ognuno portava impresso la memoria di qualcosa. Ed emergevano così, lievemente, i ricordi, le sensazioni, le emozioni…
Ed eccolo lì quello che cercava: un mezzo busto di marmo bianco su un piedistallo in onice nero.
Sembrava una di quelle sculture che si mettono sulle tombe, nei cimiteri. Non aveva mai capito perché mai si trovasse in casa quella scultura. Collocata in un angolo dell’ entrata principale della parte posteriore. Quella che portava al giardino sul retro della villa. Adorava quel giardino, non solo perché era sempre avvolto da una leggera frescura, che il sole riscaldava solo al mattino, trovandosi ad est, ma anche perché al centro, in un grande stagno coperto di ninfee rosa, nuotavano placidamente tanti pesciolini rossi, bianchi, arancioni. Un arzigogolato sistema idrico favoriva l’ossigenazione dell’acqua che scorreva sopra rocce naturali, rituffandosi dentro lo stagno. Ricordava i pomeriggi in cui, seduta su una delle poltroncine in vimini, sorseggiava corroboranti frullati di mirtilli con unici ospiti le sue bambole che occupavano le altre sedie vuote. Poco oltre un leggero pendio conduceva su un sentiero che dopo aver costeggiato un ampio vigneto, scompariva nel bosco.
to be continued…
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